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giovedì 19 giugno 2014

La responsabilità dell'equipe medica


CHE COS'È ?

Viene definita attività medico-chirurgica d’équipe quella caratterizzata dalla partecipazione e dalla collaborazione di più medici e sanitari, che interagiscono tra loro nell'esecuzione di un intervento o nell'applicazione di una terapia medica. Si fa riferimento non soltanto alle ipotesi di intervento congiunto di più medici in favore di un solo paziente, ma anche a quelle in cui l’eventuale intervento terapeutico avvenga in tempi diversi, da parte di più medici, ognuno dei quali con specifici compiti. 
In materia sono sorte nel tempo importanti problematiche di natura giurisprudenziale, soprattutto al fine di stabilire, nel caso di esito infausto del trattamento sanitario, se e in che limiti il singolo medico possa rispondere dei comportamenti colposi riferibili ad altri componenti dell'èquipe e, dunque, fino a che punto si estendano i suoi obblighi di diligenza, perizia e prudenza laddove si trovi ad operare unitamente ad altri soggetti. 


COME SI FA ?

La questione è stata risolta in dottrina e dalla giurisprudenza applicando il cosiddetto principio dell’affidamento, in base al quale ogni soggetto non dovrà ritenersi obbligato ad adeguare il proprio comportamento in funzione del rischio di eventuali condotte colpose altrui, potendo fare affidamento, appunto, sul fatto che gli altri soggetti agiscano nell'osservanza delle regole di diligenza proprie. 
Tale soluzione si fonda sul principio di auto-responsabilità, per cui ciascuno è tenuto a rispondere solo del proprio operato, che dovrà naturalmente essere improntato al rispetto delle regole di diligenza, prudenza e perizia, senza che il singolo componente dell’équipe debba essere gravato dell'obbligo di sorvegliare altresì l'operato altrui. 
Nel campo dell’attività medica d’équipe, tuttavia, il principio dell’affidamento trova alcuni precisi limiti, che sono stati così individuati: 
- da un lato, nella posizione apicale e gerarchicamente sovra-ordinata di un sanitario (il cosiddetto capo équipe), in capo al quale sussiste, proprio in ragione della anzidetta posizione apicale, un dovere di sorveglianza sull'operato dei suoi collaboratori, che va ad aggiungersi al generale dovere di osservanza delle regole di diligenza proprie; 
- dall'altro, nella sussistenza un determinato stato di fatto tale da annullare l’aspettativa di una condotta altrui corrispondente ai doveri di diligenza, prudenza e perizia, come nei casi in cui, a causa dell’altrui comportamento colposo, sia già in atto una situazione pericolosa per un paziente, oppure vi sia ragionevole motivo di credere che essa possa realizzarsi (determinato, ad esempio, dalle condizioni di salute non buone di un collega, dalla sua giovane età, inesperienza o distrazione). 

In tali casi, ogni sanitario sarà tenuto non solo ad espletare le proprie mansioni specifiche con diligenza e perizia, ma anche ad impedire e vanificare l’altrui condotta contraria alle leges artis proprie, con la conseguenza che l’eventuale inefficace o inesatto adempimento di tali doveri potrà determinare a suo carico un’ipotesi di responsabilità civile e penale per le lesioni sopravvenute. 
Ciò significa che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l’attività svolta da un altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, ponendo rimedio o adoperandosi affinché venga posto rimedio a errori altrui, purché i medesimi, come stabilito dalla giurisprudenza, siano evidenti (e non settoriali) e, quindi, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle conoscenze scientifiche del professionista medio. 
In queste ipotesi, la responsabilità di ciascuno per il mancato o l’inesatto controllo potrà, quindi, sussistere solamente allorquando il comportamento colposo del compartecipe sia dovuto alla mancata osservanza delle regole di condotta generiche, e non specialistiche, pertinenti cioè alle conoscenze professionali di ciascun medico in quanto tale e rese evidenziabili dalle specifiche circostanze del caso concreto.

Eventi avversi in chirurgia


Nella chirurgia gli eventi avversi sono piuttosto rari se commisurati al numero delle attività svolte ed avvengono soprattutto in corso di intervento o nell’immediato post-operatorio.
Occorre ricordare gli scenari ove si svolgono le attività:
1) la sala operatoria,
2) il reparto di degenza.
E’ dalla capacità di interazione tra questi due ambiti che scaturiscono le condizioni di assistenza in sicurezza del paziente.
Si possono distinguere due aspetti che incidono sulla sicurezza clinica
1) quelli legati alla capacità professionale dell’equipe chirurgica
2) quelli legati alle modalità organizzative adottate nel reparto di degenza le competenze cliniche, la professionalità, la capacità tecnica di condurre a termine un atto operatorio fanno parte di quelle condizioni di base attese dal chirurgo.
Gli aspetti organizzativi sono invece condizionati soprattutto da due branche chirurgiche: 
- l’emergenza-urgenza,
- le attività programmate in elezione.
Prevenire incidenti (contatto con materiale infetto in sala operatoria o in corsia nel corso delle medicazioni chirurgiche, ferite da strumenti appuntiti o aghi contaminati da materiale infetto, ecc) significa:
1) consentire al personale di reparto una tranquillità lavorativa,
2) disporre ad una migliore e maggiore attenzione per il paziente,
3) ridurre conseguentemente i rischi di errore.
Gli eventi avversi accadono con maggior prevalenza in sala operatoria, nel reparto di degenza, al pronto soccorso, in ambulatorio e, nella maggior parte dei casi sono conseguenze direttamente collegate all’intervento (tecnica di esecuzione) ma in alcuni casi esistono condizioni predisponenti (obesità, abuso di alcool e/o di sostanze stupefacenti, trattamenti farmacologici, età).
Le figure infermieristiche presenti i sala operatoria sono:
-         infermiere di sala,
-         infermiere  strumentista,
-         infermiere di anestesia.
 L’infermiere di sala costituisce una figura di supporto fondamentale per gli operatori, per l’anestesista e per l’infermiere strumentista. Funzione essenziale e peculiare di tale figura infermieristica è senza dubbio quella de corretto posizionamento del paziente sul lettino operatorio, sebbene come ampiamente precisato dalla giurisprudenza ( Cass. Pen. Sez IV, 27 luglio 1983: “… detta attività deve essere sempre svolta sotto il controllo del sanitario e più precisamente del medico anestesista il quale è presente in pre-sala e deve vigilare al regolare posizionamento del paziente al momento in cui avviene…”) la responsabilità sarebbe da condividere con l’intero staff chirurgico.
Altra possibile fonte di responsabilità per tale figura infermieristica potrebbe essere costituita dall’erronea conservazione, preparazione ovvero posizionamento della placca dell’elettrobisturi con rischio di elettrocuzione del paziente.
E’ possibile riassumere l’insieme delle mansioni dell’infermiere di sala:
-         preparazione delle apparecchiature per l’anestesista e loro pulizia disinfezione e sterilizzazione,
-         posizionamento dell’operando sul lettino,
-         sorveglianza e supporto al medico anestesista nel coso della sedazione,
-         monitoraggio di polso, pressione arteriosa e respiro nel post-operatorio,
-         sorveglianza di apparecchi di respirazione automatica , monitoraggio ecc.
L’infermiere strumentista è adibito a:
-         scelta (unitamente al chirurgico) di ferri e dello strumentario chirurgico,
-         sterilizzazione del materiale operatorio,
-         preparazione del tavolo chirurgico,
-         conta pre-operatoria (unitamente al chirurgo) delle garze e dello strumentario,
-         vestizione del chirurgo,
-         conta post-operatoria (unitamente al chirurgo) delle garze e dello strumentario.
Appare evidente che il maggior rischio che incombe sulla figura dell’infermiere strumentista è costituito dalla possibilità di “abbandono” di corpi estranei nel paziente.
Anche in questo caso la giurisprudenza sembrerebbe concorde nel voler addebitare l’eventuale responsabilità derivante da simile dimenticanza non al solo infermiere ferrista ma all’intera equipe chirurgica.
L’infermiere di anestesia non costituisce vera e propria specializzazione pur costituendo figura di supporto essenziale per il medico anestesista.
(A differenza di quanto accade in USA dove da molto tempo esiste la figura del nurse anesthesist dotato di indipendenza operativa).

Tribunale condanna solo infermiere di sala e strumentista

Lascia molto perplessi la sentenza del Tribunale di Pescara N° 483/2014 che rinvia a giudizio due professioniste infermiere, per lesioni colpose cagionate a seguito di dimenticanza, nel corso di un intervento chirurgico, di una garza nell’addome di un paziente, mentre viene archiviata la posizione del chirurgo.
Ecco i fatti. Nel 2010, nel corso di un intervento chirurgico per una appendicectomia e resezione del fondo cecale, l’equipe operatoria era composta dall’anestesista, dal chirurgo, da due specializzandi, dall’infermiera “di sala” e dall’infermiera “strumentista”. Nella scheda “conta garze – taglienti – ferri chirurgici” dell’intervento non sono riportate discrepanze tra il totale carico ed il totale usato (15 topper, 15 lunghette, 2 laparotomiche, 10 tamponi, 2 bisturi). Il paziente dopo alcuni giorni viene dimesso, con decorso post operatorio  svolto privo di sostanziali complicanze. Però nei giorni successivi il paziente viene di nuovo ricoverato per due giorni soprattutto a causa dell’insorgenza della febbre. Nella nuova lettera di dimissione è riportata la diagnosi di “cistite in paziente recentemente sottoposto ad intervento di appendicectomia con resezione cecale”.
Successivamente, il paziente veniva sottoposto a consulenza urologica e a Ecografia addome completo che evidenziava presenza di anse intestinali dilatate con materiale anecogeno all’interno. Presenza di versamento tra le anse. A causa di iperpiressia persistente e addominalgia diffusa, veniva di nuovo ricoverato in Chirurgia I con la diagnosi in “Occlusione intestinale post-chirurgica”. Il paziente veniva sottoposto a TAC Addome completo senza e con MDC che evidenziava esiti di appendicectomia e di resezione del cieco; in sede pelvica sopravescicale, si osserva “formazione rotondeggiante, con diametro di circa 5cm, a contenuto disomogeneo con aria e materiale lineare iperdenso, da riferire in prima ipotesi a garzoma. Non alterazioni volumetriche, morfologiche e strutturali di fegato, milza, pancreas, reni e surreni. Non tumefazioni linfonodali in sede retroperitoneale. Non versamenti liberi di peritoneo”.
Il paziente veniva sottoposto a nuovo intervento chirurgico urgente di laparotomia esplorativa per ascesso pelvico da corpo estraneo (garza) coinvolgente il cieco ed il sigma. Durante l’intervento viene constata la presenza di un corpo estraneo nell’intestino tenue. Viene praticata una “resezione ileocecale e sua ricostruzione con anastomosi ileo-ascendente meccanica. Nella lettera di dimissione si certificava che il paziente necessitava di complessivi 40 giorni di riposo.

E’cosi che le due professioniste vengono rinviate a giudizio ed imputate del delitto di cui agli artt. 113, 590, co. 1 e co. 2 c.p. perché, una essendo infermiera “professionale” con funzioni di “strumentista” e l’altra infermiera “professionale” con funzioni di “infermiera di sala” nell’ambito dell’equipe chirurgica dell’Ospedale Civile di P., U.O. Chirurgia, che in data 30/3/2010 procedeva nei confronti del paziente ad un intervento di “appendicectomia e resezione del fondo cecale”, per colpa, consistente in negligenza, imprudenza ed imperizia e inosservanza di regolamenti (in particolare: ”Raccomandazione n. 1 per la prevenzione della ritenzione di garze e strumenti o altro materiale all’interno del sito chirurgico” delibera n. 390 del 1/6/2007), effettuando erroneamente la “conta delle garze e taglienti” durante il suddetto intervento chirurgico, cagionavano lo smarrimento in sito di una delle garze utilizzate, garza che doveva essere successivamente rimossa con altro intervento chirurgico e conseguenti lesioni.

Ora, l’intervento chirurgico è il risultato di un lavoro multidisciplinare, sia nella fase di preparazione che nell’atto vero e proprio. La legge prevede uno standard minimo di professionisti per attivare una sala operatoria: due chirurghi, un anestesista, un infermiere. In realtà, a seconda del tipo di intervento, può essere necessario un numero maggiore di figure professionali e/o il coinvolgimento di specialisti di discipline diverse

Il direttore di un U.O.C, nell’ambito dei suoi doveri organizzativi e gestionali, può delegare ai suoi collaboratori il compito di effettuare interventi chirurgici da lui ritenuti adeguati alla loro capacità e alla loro preparazione. Il dirigente medico, così individuato, assume il ruolo formale di capo-équipe. Il capo dell’équipe chirurgica è il medico che ha il dovere di controllo sull’operato dei collaboratori ai quali può affidare l’esecuzione diretta di un atto chirurgico o di una parte di esso. Il capo-équipe non riveste una posizione apicale, potendo tra l’altro fare sempre riferimento sul direttore, se presente, o sul vice-direttore da esso delegato, ma ha un effettivo dovere di vigilanza sull’operato dei collaboratori, non solo nella fase prettamente chirurgica ma sull’andamento dell’intera operazione (conteggio finale delle garze, modalità di sintesi parietale, gestione dei drenaggi, stesura del verbale di intervento, richiesta di esame istologico, etc.).

Sul tema dell’errore nella conta dei ferri chirurgici o garze a opera dell’infermiere c.d. “ferrista” e dell’ infermiere c.d. “di sala”, la giurisprudenza ha sempre ritenuto responsabile l’intera équipe chirurgica. Ciò sulla base del principio in forza del quale il medico, qualora si avvalga di “collaboratori” ai quali sia materialmente affidata l’esecuzione di un compito, conserva intatto, sull’attività degli stessi, il dovere di vigilanza, nonché sulla base della considerazione che, nel settore chirurgico, il personale infermieristico ha funzioni di assistenza ma non di verifica dell’intervento operatorio nella sua completezza, essendo quest’ultima prerogativa del medico chirurgo.

A quanto pare il tribunale non ha ritenuto opportuno applicare questa regola generale, cioè l’errore di équipe, ma ha dato piena responsabilità alla due professioniste infermiere dell’evento avverso accaduto.

domenica 15 giugno 2014

Tassa IPASVI: e se fosse l'Azienda a pagarla?

Interessante iniziativa legale di alcuni colleghi alessandrini, iscritti ed assistiti dal sindacato di categoria Nursind.
Tre infermieri dipendenti dell’ASL di Alessandria infatti, assistiti dagli Avvocati Michele Branzoli e Saverio Biscaldi, si sono rivolti al Tribunale, Sezione Lavoro, perché venga dichiarato l’obbligo in capo all’Azienda pubblica di sostenere il costo dell’iscrizione all’albo degli infermieri IPASVI nonché accertato il loro diritto alla rifusione delle somme versate finora quale quota di iscrizione annuale al medesimo albo professionale.

Come confermato dall’Avv. Branzoli ”Non vi è giurisprudenza sul tema per quanto concerne specificamente la figura professionale degli infermieri; tuttavia il principio enunciato dal Consiglio di Stato con riferimento alla figura professionale dell’avvocato che presta servizio in regime di esclusiva ha certamente portata tale da rendere indiscutibile la possibilità di estenderne l’applicazione anche alla figura dell’infermiere”.

lunedì 9 giugno 2014

Casi di responsabilità Infermieristica

1. Servizio di ambulanza (Cass. 18.9.2008, n. 23851)
Il caso: Un soggetto,affetto da tetraplegia, veniva accompagnato regolarmente con una autoambulanza dalla Associazione Croce Bianca da Merano a Innsbruck per eseguire controlli medici e terapie. Il 12 ottobre 1995, a causa di una brusca frenata effettuata dal conducente e a causa della mancata utilizzazione dei presidi esistenti all'interno dell'ambulanza per l'attenuazione del rischio da infortuni a carico dei pazienti trasportati, subiva gravi danni alla persona


Il principio affermato: Poiché il personale addetto al trasporto in ambulanza esercita un servizio non di mero trasporto, ma di assistenza sanitaria, ed ha quindi l'obbligo di provvedere a che il trasporto si compia preservando le condizioni di salute del trasportato, esso è responsabile della messa in circolazione del veicolo in condizioni di sicurezza. Conseguentemente, il responsabile dell'autoambulanza è obbligato ad imporre l'adozione delle misure di sicurezza al trasportato, il quale è pur sempre tenuto ad un dovere di cooperazione con il personale sanitario, in mancanza del quale è ipotizzabile il suo concorso di colpa. 

2. Assistenza nella casa di cura (Trib. Roma 2.6.2005)
Il caso: una donna, ricoverata in una casa di cura per partorire, il giorno successivo, a parto avvenuto, veniva accompagnata dal personale infermieristico ai servizi igienici del reparto, dove, rimasta sola, perdeva improvvisamente i sensi e cadeva, riportando una frattura scomposta del setto nasale.
Il principio affermato: Una paziente reduce dal parto necessita di assistenza continua, essendo notorio e prevedibile che l'indebolimento fisiologico provocato dal parto possa causare astenia e mancamenti.
Non esime da responsabilità la circostanza che la paziente avesse dichiarato alle infermiere di "sentirsi bene" e di potere camminare da sola. Una elementare regola di cautela, impone infatti al personale infermieristico di non acquietarsi alle dichiarazioni del paziente, ma di verificare effettivamente se sussistano o meno indici rivelatori della completa autosufficienza del malato o del ricoverato. Indici che nella specie, per quanto detto, non esistevano o comunque non erano tranquillizzanti.

 3. Errato posizionamento del catetere (Cass. 10.9.2010, n. 19277)
Il caso: lesioni subite da un degente a causa della fuoriuscita dal sistema della vena basilica di destra di liquidi di infusione venosa, somministratigli per fronteggiare una sindrome cardiocircolatoria acuta.
 Il principio affermato: le negligenze od imperizie del personale paramedico ospedaliere, accertate dal CTU, pur ricadendo sull'ente da cui il personale medesimo risulta dipendente, devono essere addebitate in ultima analisi ai medici curanti, sui quali soltanto può gravare la responsabilità del malato.

4. Casi di mancata rimozione di dispositivi medici dal corpo del soggetto operato
(Corte App. Roma 8.3.2011, n. 981)
 Nel caso di mancata rimozione dalle sedi dell'operazione chirurgica di pinze, ferri, garze, il controllo della rimozione spetta all'intera equipe operatoria, cioè ai medici, che hanno la responsabilità del buon esito dell'operazione anche con riferimento a tutti gli adempimenti connessi, e non può essere delegata al solo personale paramedico, avendo gli infermieri funzione di assistenza, ma non di verifica.

5. Maldestro intervento infermieristico (Cass. 20.11.1998, n. 11741)
Il caso: paralisi parziale di un soggetto operato di ernia del disco a seguito del sollevamento improvvido di una infermiera.
Il principio enunciato: La responsabilità di una struttura ospedaliera comprende le condotte negligente ed imperite sia dei sanitari sia dei parasanitari, del cui operato l’azienda è tenuta a rispondere. Nel dovere di un trattamento adeguato alla rilevanza medica del caso rientra comunque anche il dovere di vigilanza e di esclusione di terzi inidonei a trattare il degente.

6. Sottrazione di neonato dal “nido” (Cass. 4.8.1987, n. 6707 )
Il caso: Una donna partoriva un bambino nell'Ospedale di Ventimiglia. Due giorni dopo, durante l’orario di visita, il neonato era sottratto da ignoti dal "nido" dell'ospedale e non se ne rinveniva più traccia nonostante le ricerche svolte dalla polizia.
Il principio enunciato: La protezione del neonato costituisce obbligazione primaria dell’ospedale e è del tutto irrilevante che non vi fosse una regolamentazione interna di quell'attività dovuta. La omissione di custodia del reparto nel quale si trovava il neonato creò le condizioni ideali perché il rapimento potesse essere consumato. 

No all’equipollenza fra infermiere generico e ASA o OSA

Il fatto
Una operatrice sanitaria, in possesso del titolo di infermiera generica, ha partecipato ad una selezione per titoli ed esami per assunzioni in via straordinaria e temporanea della figura professionale di “ausiliario socio - assistenziale”. Durante il periodo di assunzione l’Istituto presso il quale lavorava ha emanato un ulteriore bando di concorso pubblico per titoli ed esami per la copertura di posti di “ausiliario socio assistenziale - IV qualifica funzionale, con riserva a personale interno dichiarato idoneo, se in possesso dell’attestato di qualifica professionale di “ausiliario socio-assistenziale””, senza contemplare al riguardo equipollenze o deroghe. L’infermiera non è stata ammessa a partecipare perché non in possesso dell’attestato.



Profili giuridici 
I giudici amministrativi hanno chiarito che, dalla disamina delle disposizioni in materia si evince come non vi sia alcuna previsione di legge che sancisce equiparazioni tra la figura professionale dell’infermiere generico e quella dell’ “ausiliario – operatore socio assistenziale” (ASA o OSA) ovvero con quella dell’OTA, dell’OSS o dell’OSSC. Di conseguenza, in assenza di previsioni nel bando, non è possibile integrare le indicazioni in esso contenute nel senso di consentire anche ai titolari del diploma di infermiere generico di partecipare al relativo concorso.

martedì 3 giugno 2014

Infermieri : no all'indennità di rischio

Il fatto
Un’infermiera che ha svolto l’attività lavorativa presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale, in via prioritaria presso la terapia intensiva e sub-intensiva verso i pazienti accettati in codice rosso o giallo, ha chiesto al Tribunale che venisse accertato il diritto alla percezione dell'indennità di rischio e disagio prevista dall'art. 44 del CCNL del Comparto Sanità del 10/9/1995, con condanna dell'Azienda sanitaria alla relativa corresponsione.



Profili giuridici 
Il giudice di primo grado ha interpretato la disposizione contrattuale invocata dalla ricorrente nel senso della spettanza dell'indennità al personale infermieristico che avesse comunque svolto le attività previste, in maniera continuativa e sistematica, indipendentemente dalla struttura in cui era stata effettuata, in considerazione della situazione di rischio a cui l'operatore era esposto nello svolgimento delle particolari condizioni di lavoro. La Corte di Cassazione ha ritenuto non condivisibile tale orientamento ed ha chiarito che l'emolumento è strettamente correlato allo svolgimento di attività in reparti specifici, destinati alla somministrazione di particolari cure, per cui compete solo agli infermieri addetti ai servizi - intesi quali articolazioni strutturali dell'organizzazione sanitaria - di malattie infettive, di terapia intensiva e di terapia sub intensiva.

lunedì 2 giugno 2014

Il rapporto tra Medico-Infermiere

Il rapporto tra medico e infermiere è caratterizzato da autonomia di ciascuna
delle due professionalità?

Il rapporto che lega medici e infermieri, alla luce dell’abrogazione del D.p.r. 225/1974, (c.d. “mansionario”), si caratterizza per essere improntato all’autonomia: la professione infermieristica ha cessato di avere un ruolo meramente ausiliario.
 L’art. 1 della legge 10.08.2000, n. 251 sancisce questa nuova realtà di collaborazione non subordinata.

 Il medico ha responsabilità per le attività volte a soddisfare i bisogni infermieristici del paziente?
Non più. L’infermiere, in ragione della sua autonomia, è responsabile delle azioni che
rientrano nell’assistenza infermieristica. L’art. 1 del D.M. 739/1994, delineando la figura dell’infermiere, afferma: «L’infermiere è l’operatore sanitario , che in possesso di diploma universitario abilitante e dell’iscrizione all’albo professionale è responsabile dell’assistenza generale infermieristica».

Il medico può imporre all’infermiere le modalità di svolgimento del suo lavoro?
Il medico non può più imporre all’infermiere le modalità di svolgimento di un intervento di competenza di quest’ultimo, ma, soprattutto, non può più indicare all’infermiere quali attività compiere per soddisfare i bisogni infermieristici del paziente.

Il medico può essere chiamato a rispondere per errori commessi dall’infermiere?
In linea generale, non rientrando più l’attività infermieristica nella competenza decisionale del medico, egli non ne sarà responsabile.

Nella cura farmacologia l’infermiere è mero esecutore della prescrizione
del medico?
L’inserimento nelle funzioni infermieristiche del compito di garantire la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche implica una costante attività di verifica da parte dell’infermiere del processo terapeutico nelle diverse fasi di prescrizione, conservazione, somministrazione e raccolta degli effetti prodotti. L’apporto infermieristico non può limitarsi, dunque, alla passiva esecuzione della prescrizione ricevuta, ma implica la previa verifica della correttezza dell’operazione.



Esiste un obbligo di collaborazione tra medico e infermiere?
Il nuovo codice deontologico dei medici,sancisce espressamente un dovere di collaborazione tra il medico e le diverse figure sanitarie che prestano la loro opera a beneficio del paziente.
 All’art. 66, infatti, si legge:
«Il medico deve garantire la più ampia collaborazione e favorire la comunicazione tra tutti gli operatori coinvolti nel processo assistenziale, nel rispetto delle peculiari competenze professionali».
In modo consonante, l’art. 5 del codice deontologico degli infermieri prevede: «L’infermiere collabora con i colleghi e gli altri operatori, di cui riconosce e rispetta lo specifico apporto all’interno dell’equipe».
Lo stesso art. 1 del D.M. 739/1994, del resto, fa espresso riferimento al fatto che: «l’infermiere (…) agisce sia individualmente sia in collaborazione
con gli altri operatori sanitari e sociali».


Il medico in posizione apicale è responsabile dell’attività infermieristica
che si svolge nel reparto da lui diretto?
La responsabilità di organizzazione e gestione della struttura assegnata al primario non può non comprendere anche l’attività infermieristica. Il D.p.r. 761/1979 impone al primario di esercitare «funzioni di indirizzo e di verifica sulle prestazioni di
diagnosi e cura», che comprendono anche le attività infermieristiche,a loro volta funzionali alla cura del paziente.
Nello stessa direzione ci sembra che conduca il D. lgs. 229/1999, nel quale è affermato che il medico in posizione apicale può dare direttive a tutto il personale operante nella struttura da lui diretta.

Le colpe dell'Infermiere nella gestione del suo rapporto con l'OSS

All’Infermiere si possono attribuire una serie di colpe nella gestione del suo rapporto con l’OSS:
COLPA IN ELIGENDO
L’infermiere affida all’operatore di supporto compiti che dovrà svolgere sotto la sua supervisione.
Dovrà selezionare i compiti che ritenga di poter assegnare all’operatore di supporto.
Dovrà scegliere tra gli operatori di supporto quelli che riterrà in grado di svolgere tali compiti adeguatamente.
La colpa in eligendo è la colpa consistente nella cattiva scelta del soggetto a cui
affidare/assegnare/attribuire i compiti.
Se dal comportamento dell’operatore di supporto dovesse derivare un eventuale danno al paziente, all’infermiere potrà essere mosso un addebito di colpa per aver errato nella scelta della persona affidataria dell’incarico.
COLPA IN VIGILANDO

L’infermiere potrà essere in colpa se omette di esercitare quelle verifiche doverose che sarebbero risultate idonee a impedire il verificarsi di eventi dannosi per il paziente.

Il rapporto Infermiere-OSS: responsabilità e competenze delle due categorie professionali

Con la soppressione dei corsi di formazione per infermieri generici e la nascita di nuove figure di supporto come quella dell’operatore socio sanitario(OSS), diventa sempre più importante per gli infermieri, capire il ruolo di questi colleghi, per potere assicurare un’assistenza di èquipe rivolta alle esigenze dell’assistito, sia in ospedale, che sul territorio.
 Non e', infatti, possibile ottenere un corretto inserimento di tali operatori, se gli infermieri non hanno prima chiaro chi sono e le attività che possono eseguire.

Se l'evoluzione di queste figure di supporto non è accompagnata ad una informazione corretta, rischiamo che questi operatori vengano utilizzati per svolgere compiti non adeguati al livello della formazione ricevuta e quindi uno spreco di risorse, utili anche per liberare tempo agli infermieri e permettere a questi di dedicarsi ad assicurare una assistenza olistica al paziente, basata anche sulla relazione e sull’educazione sanitaria, oltre che su una corretta pianificazione e supervisione.
L' operatore socio sanitario e' una figura di supporto e svolge attività indirizzate a soddisfare i bisogni primari della persona secondo le proprie competenze e aiuta l' infermiere ad assicurare un’assistenza infermieristica qualificata.
Bisogna considerare che, in base al Profilo Professionale dell’Infermiere, l’infermiere è l'unico responsabile dell’assistenza infermieristica che viene erogata ai cittadini.
Deve essere quindi egli stesso, che in base ad ogni situazione,a valutare se effettuare direttamente gli interventi o se demandarli agli operatori di supporto, mantenendo comunque la pianificazione, la supervisione e la verifica di quanto effettuato da altri.
 L’infermiere deve dunque sapere, saper essere, saper fare, ma anche saper far fare.
La definizione dei rapporti che intercorrono tra infermiere e operatore di supporto ha rivestito in questi ultimi anni un’importanza crescente, specie in riferimento a quei momenti in cui tali figure oltre a incontrarsi, devono più specificatamente integrarsi.
Le funzioni dell’OSS  sono raggruppate in tre aree:
assistenza diretta ed aiuto domestico alberghiero;
finalizzata alle attività di assistenza di base alla persona, compresa la sanificazione e la cura dell’igiene ambientale;
intervento igienico sanitario e di carattere sociale;
finalizzata ad una serie di competenze che riguardano gli aspetti relazionali- comunicativi volti ad illustrare i principi educativi alla salute e di integrazione sociale,
supporto gestionale organizzativo e formativo;
finalizzata al supporto nelle attività di tirocinio e di monitoraggio della qualità del servizio;
L’OSS svolge queste attività secondo alcuni criteri definiti:
attività in autonomia (sulla base di procedure, protocolli, piani di lavoro);
attività sulla base di attribuzioni da parte dell’infermiere (la responsabilità della decisione, del controllo e dell’esito rimane pertanto in capo dell’infermiere prescrittore);
attività che l’operatore svolge solo in collaborazione con l’infermiere che in questo caso deve essere presente.
Attività eseguibili in autonomia:
- pulizia e manutenzione di strumenti, apparecchiature e degli spazi
utilizzati dalla persona assistita, in relazione ai protocolli adottati
nelle singole unità operative;
- pulizia, asciugatura e preparazione del materiale destinato alla sterilizzazione
trattamento del materiale sterile e conservazione dello stesso, controllo delle
date di scadenza ;
- riordino e rifacimento dei letti vuoti;
- pulizia dell’unità di vita della persona assistita (comodino, letto, strumenti);
- preparazione della camera di degenza e dei soggiorni delle persone assistite
per la consumazione dei pasti, aiuto nella loro distribuzione;
- preparazione di bevande e di piccoli pasti;
- ritiro del vassoio dopo il pasto;
- favorire o eseguire l’igiene orale e delle mani;
- posizionamento della persona assistita nelle posizioni prescritte o richieste;
- trasporto e smaltimento di materiale biologico, sanitario ed economale
secondo i protocolli esistenti.
Attività eseguibili su assegnazione: l’OSS, sotto la vigilanza e su assegnazione dell'Infermiere responsabile dell'assistenza, aiuta l'utente per la corretta assunzione dei farmaci prescritti e utilizza correttamente apparecchi medicali di semplice uso.
Attività non eseguibilisi tratta di attività, che non possono essere assolutamente svolte dall’OSS.