Lascia
molto perplessi la sentenza del Tribunale di Pescara N° 483/2014 che rinvia a
giudizio due professioniste infermiere, per lesioni colpose cagionate a seguito
di dimenticanza, nel corso di un intervento chirurgico, di una garza
nell’addome di un paziente, mentre viene archiviata la posizione del chirurgo.
Ecco
i fatti. Nel 2010, nel corso di un intervento chirurgico per una
appendicectomia e resezione del fondo cecale, l’equipe operatoria era composta
dall’anestesista, dal chirurgo, da due specializzandi, dall’infermiera “di
sala” e dall’infermiera “strumentista”. Nella scheda “conta garze – taglienti –
ferri chirurgici” dell’intervento non sono riportate discrepanze tra il totale
carico ed il totale usato (15 topper, 15 lunghette, 2 laparotomiche, 10
tamponi, 2 bisturi). Il paziente dopo alcuni giorni viene dimesso, con decorso
post operatorio svolto privo di sostanziali complicanze. Però nei giorni
successivi il paziente viene di nuovo ricoverato per due giorni soprattutto a
causa dell’insorgenza della febbre. Nella nuova lettera di dimissione è
riportata la diagnosi di “cistite in paziente recentemente sottoposto ad
intervento di appendicectomia con resezione cecale”.
Successivamente,
il paziente veniva sottoposto a consulenza urologica e a Ecografia addome
completo che evidenziava presenza di anse intestinali dilatate con materiale
anecogeno all’interno. Presenza di versamento tra le anse. A causa di
iperpiressia persistente e addominalgia diffusa, veniva di nuovo ricoverato in
Chirurgia I con la diagnosi in “Occlusione intestinale post-chirurgica”. Il
paziente veniva sottoposto a TAC Addome completo senza e con MDC che
evidenziava esiti di appendicectomia e di resezione del cieco; in sede pelvica
sopravescicale, si osserva “formazione rotondeggiante, con diametro di circa
5cm, a contenuto disomogeneo con aria e materiale lineare iperdenso, da
riferire in prima ipotesi a garzoma. Non alterazioni volumetriche, morfologiche
e strutturali di fegato, milza, pancreas, reni e surreni. Non tumefazioni linfonodali
in sede retroperitoneale. Non versamenti liberi di peritoneo”.
Il
paziente veniva sottoposto a nuovo intervento chirurgico urgente di laparotomia
esplorativa per ascesso pelvico da corpo estraneo (garza) coinvolgente il cieco
ed il sigma. Durante l’intervento viene constata la presenza di un corpo
estraneo nell’intestino tenue. Viene praticata una “resezione ileocecale e sua
ricostruzione con anastomosi ileo-ascendente meccanica. Nella lettera di
dimissione si certificava che il paziente necessitava di complessivi 40 giorni
di riposo.
E’cosi
che le due professioniste vengono rinviate a giudizio ed imputate del delitto
di cui agli artt. 113, 590, co. 1 e co. 2 c.p. perché, una essendo infermiera
“professionale” con funzioni di “strumentista” e l’altra infermiera
“professionale” con funzioni di “infermiera di sala” nell’ambito dell’equipe
chirurgica dell’Ospedale Civile di P., U.O. Chirurgia, che in data 30/3/2010
procedeva nei confronti del paziente ad un intervento di “appendicectomia e
resezione del fondo cecale”, per colpa, consistente in negligenza, imprudenza
ed imperizia e inosservanza di regolamenti (in particolare: ”Raccomandazione n.
1 per la prevenzione della ritenzione di garze e strumenti o altro materiale
all’interno del sito chirurgico” delibera n. 390 del 1/6/2007), effettuando
erroneamente la “conta delle garze e taglienti” durante il suddetto intervento
chirurgico, cagionavano lo smarrimento in sito di una delle garze utilizzate,
garza che doveva essere successivamente rimossa con altro intervento chirurgico
e conseguenti lesioni.
Ora, l’intervento chirurgico è il risultato di un lavoro multidisciplinare, sia nella fase di preparazione che nell’atto vero e proprio. La legge prevede uno standard minimo di professionisti per attivare una sala operatoria: due chirurghi, un anestesista, un infermiere. In realtà, a seconda del tipo di intervento, può essere necessario un numero maggiore di figure professionali e/o il coinvolgimento di specialisti di discipline diverse
Il direttore di un U.O.C, nell’ambito dei suoi doveri organizzativi e gestionali, può delegare ai suoi collaboratori il compito di effettuare interventi chirurgici da lui ritenuti adeguati alla loro capacità e alla loro preparazione. Il dirigente medico, così individuato, assume il ruolo formale di capo-équipe. Il capo dell’équipe chirurgica è il medico che ha il dovere di controllo sull’operato dei collaboratori ai quali può affidare l’esecuzione diretta di un atto chirurgico o di una parte di esso. Il capo-équipe non riveste una posizione apicale, potendo tra l’altro fare sempre riferimento sul direttore, se presente, o sul vice-direttore da esso delegato, ma ha un effettivo dovere di vigilanza sull’operato dei collaboratori, non solo nella fase prettamente chirurgica ma sull’andamento dell’intera operazione (conteggio finale delle garze, modalità di sintesi parietale, gestione dei drenaggi, stesura del verbale di intervento, richiesta di esame istologico, etc.).
Sul tema dell’errore nella conta dei ferri chirurgici o garze a opera dell’infermiere c.d. “ferrista” e dell’ infermiere c.d. “di sala”, la giurisprudenza ha sempre ritenuto responsabile l’intera équipe chirurgica. Ciò sulla base del principio in forza del quale il medico, qualora si avvalga di “collaboratori” ai quali sia materialmente affidata l’esecuzione di un compito, conserva intatto, sull’attività degli stessi, il dovere di vigilanza, nonché sulla base della considerazione che, nel settore chirurgico, il personale infermieristico ha funzioni di assistenza ma non di verifica dell’intervento operatorio nella sua completezza, essendo quest’ultima prerogativa del medico chirurgo.
A quanto pare il tribunale non ha ritenuto opportuno applicare questa regola generale, cioè l’errore di équipe, ma ha dato piena responsabilità alla due professioniste infermiere dell’evento avverso accaduto.
Ora, l’intervento chirurgico è il risultato di un lavoro multidisciplinare, sia nella fase di preparazione che nell’atto vero e proprio. La legge prevede uno standard minimo di professionisti per attivare una sala operatoria: due chirurghi, un anestesista, un infermiere. In realtà, a seconda del tipo di intervento, può essere necessario un numero maggiore di figure professionali e/o il coinvolgimento di specialisti di discipline diverse
Il direttore di un U.O.C, nell’ambito dei suoi doveri organizzativi e gestionali, può delegare ai suoi collaboratori il compito di effettuare interventi chirurgici da lui ritenuti adeguati alla loro capacità e alla loro preparazione. Il dirigente medico, così individuato, assume il ruolo formale di capo-équipe. Il capo dell’équipe chirurgica è il medico che ha il dovere di controllo sull’operato dei collaboratori ai quali può affidare l’esecuzione diretta di un atto chirurgico o di una parte di esso. Il capo-équipe non riveste una posizione apicale, potendo tra l’altro fare sempre riferimento sul direttore, se presente, o sul vice-direttore da esso delegato, ma ha un effettivo dovere di vigilanza sull’operato dei collaboratori, non solo nella fase prettamente chirurgica ma sull’andamento dell’intera operazione (conteggio finale delle garze, modalità di sintesi parietale, gestione dei drenaggi, stesura del verbale di intervento, richiesta di esame istologico, etc.).
Sul tema dell’errore nella conta dei ferri chirurgici o garze a opera dell’infermiere c.d. “ferrista” e dell’ infermiere c.d. “di sala”, la giurisprudenza ha sempre ritenuto responsabile l’intera équipe chirurgica. Ciò sulla base del principio in forza del quale il medico, qualora si avvalga di “collaboratori” ai quali sia materialmente affidata l’esecuzione di un compito, conserva intatto, sull’attività degli stessi, il dovere di vigilanza, nonché sulla base della considerazione che, nel settore chirurgico, il personale infermieristico ha funzioni di assistenza ma non di verifica dell’intervento operatorio nella sua completezza, essendo quest’ultima prerogativa del medico chirurgo.
A quanto pare il tribunale non ha ritenuto opportuno applicare questa regola generale, cioè l’errore di équipe, ma ha dato piena responsabilità alla due professioniste infermiere dell’evento avverso accaduto.
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