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martedì 22 luglio 2014

Le direttive anticipate di trattamento

 Introduzione: biomedicina e diritti dell’uomo.

«Direttive anticipate»; «testamento biologico»; «scelte di fine vita»: sono queste le etichette con le quali si identifica un dibattito che, negli ultimi anni, è uscito dalle pagine delle riviste scientifiche per diventare oggetto di discussione sui quotidiani, nelle televisioni e nelle aule parlamentari.
Un dibattito il cui senso può essere compreso solo ricordando quanto accaduto negli ultimi decenni in due settori fra loro profondamente legati: quello delle scienze biomediche e quello dei diritti della persona.

 

 Le scelte di fine vita: la giurisprudenza

Quando i genitori di Karen Quinlan – una ragazza colpita da un collasso e sottoposta a rianimazione, ma rimasta in stato vegetativo – agiscono per ottenere la cessazione delle terapie alla quali è sottoposta la figlia, i giudici del New Jersey riconoscono che il diritto a rifiutare le cure non si perde se si è colpiti da incapacità; si tratta di individuare la via migliore per dar valore alla volontà della persona, pur quando questa non sia più in grado di manifestarla. Nel caso di specie essi affermeranno perciò che: «The only practical way to prevent destruction of the right is to permit the guardian and family of Karen to render their best judgment, subject to the qualifications hereinafter stated, as to whether she would exercise it in these circumstances».
La linea verrà confermata in un’altra vicenda, relativa a un’anziana donna in condizioni gravissime e del tutto incapace che sopravviveva grazie all’alimentazione somministratale con sondino nasogastrico. Di fronte alla richiesta di un congiunto della paziente, volta a far cessare le terapie in atto, i giudici – pur auspicando un intervento del legislatore in grado di dettare regole certe in una materia così delicata – individueranno nelle precedenti manifestazioni di volontà (living will) e nella nomina di un rappresentante – che si faccia portavoce della volontà e che persegua il best interest del paziente – gli strumenti idonei ad assicurare l’esercizio del diritto da parte dell’incapace.
Un altro caso, costantemente citato nella letteratura d’oltre oceano, riguarda una donna caduta in SVP a causa di un incidente stradale. Stavolta la richiesta di sospendere le misure – nutrizione e idratazione artificiale – che tenevano in vita la giovane proviene dai suoi genitori. Il caso consentirà alla Corte Suprema federale di chiarire, da un lato, che la nutrizione e l’idratazione artificiali sono trattamenti sanitari e, in quanto tali, soggetti alle regole del consenso informato; dall’altro lato, che le scelte devono essere adottate rispettando la volontà del paziente (ora incapace), determinata in base a «clear and convincing, inherently reliable evidence».

 

Un rapido sguardo alla realtà europea.

Come abbiamo visto, la sequenza che ha caratterizzato la nascita negli U.S.A. delle regole che ci interessano ha visto, in prima battuta, la giurisprudenza affrontare i nuovi problemi giuridici ed etici – conseguenza delle innovazioni nel campo medico scientifico – allestendo risposte coerenti con il quadro costituzionale e con le stesse regole tramandate dal common law giurisprudenziale.
È intervenuta poi la legislazione, la quale non ha smentito quanto affermato dalle corti, ma ha proseguito sul medesimo percorso, con l’intenzione di offrire ai consociati strumenti formali e certezze in vista del rispetto dei diritti già proclamati nelle aule giudiziarie.
La medesima sequenza – corti e legislatori che si muovono in sintonia, i secondi formalizzando e riordinando le regole formulate dai primi – emerge dall’analisi di quanto accaduto in molti altri Paesi ai noi vicini.
In effetti, anche in Inghilterra, le regole che governano le scelte di fine vita sono state dapprima formulate dai giudici e poi formalizzate dal Parlamento.
Dal caso Bland – ove si è affermato che nella decisione medica si deve perseguire il best interest del paziente, il che può comportare anche l’interruzione della cure, comprese le misure di nutrizione e idratazione artificiale – si è giunti al Mental Capacity Act del 2005.
La normativa – assai complessa – muove dal principio di autonomia del paziente e mira all’obiettivo della realizzazione del suo best interest.
In estrema sintesi:
a) la decisione spetta all’interessato;
b) se questi è incapace di manifestare la sua volontà:
b1) si rispettano le sue direttive anticipate; sono possibili «Advance decisions to refuse life-sustaining treatment» (solo in tal caso sono previste particolari formalità; sono comunque rinunziabili l’alimentazione e l’idratazione artificiale); è possibile che l’interessato nomini un «donee of lasting power of attorney», al quale spetteranno le decisioni; ove necessario per la tutela degli interessi del soggetto, si può procedere alla nomina di un «deputy» da parte della Corte;
b2) altrimenti decide il medico, sulla base del best interest, da determinarsi tenendo conto di tutte le informazioni disponibili sul soggetto, interpellandoattorney, deputy (se esistenti) oppure un Independent Mental Capacity Advocate e sotto il controllo della Court of Protection.

Olanda e Belgio presentano molti tratti in comune. In entrambi i Paesi, dopo una serie di casi nei quali i giudici avevano sostanzialmente riconosciuto, a determinate condizioni, la liceità dell’eutanasia, è intervenuta la legislazione. In queste realtà è stata esplicitamente disciplinata l’eutanasia, intesa come: «l’acte pratiqué par un tiers, qui met intentionnellement fin à la vie d’une personne, à la demande de celle-ci». Così definita, l’eutanasia – che può essere oggetto di dichiarazione anticipata scritta da parte di chi la richieda – è depenalizzata se praticata dal medico in determinate circostanze e con determinate garanzie
In Francia è la c.d. «Loi Léonetti» a dettare ora le regole: il consenso informato è necessario per «tout traitment» (alimentazione e idratazione sono trattamenti medici, e perciò rinunziabili). In vista di una futura incapacità, la volontà può essere riportata nelle «directives anticipées»: scritte, ma con poche formalità; vincolanti e valide 3 anni. Ove le direttive riguardino la rinunzia a trattamenti vitali, la decisione finale toccherà al medico, il quale dovrà «tenerne conto» e seguire una procedura collegiale consultando la personne de confiance, oppure la famiglia o, un proche.
In Spagna, una legge del 2002 stabilisce le necessità del consenso informato, salvo che in caso di emergenza; la volontà del paziente può essere contenuta nelle
«instrucciones previas» da redigere in forma scritta e per le quali è previsto l’allestimento di un registro nazionale; l’interessato può rinunciare a qualsiasi terapia los cuidados y el tratamiento de su salud»).
L’Austria ha preso posizione con una legge del 2006 Patientenverfügungsgesetz: le «disposizioni del paziente» – redatte davanti a notaio, avvocato o «rappresentante dei pazienti» – sono vincolanti se presentano tutti i requisiti di legge; altrimenti non sono vincolanti ma restano rilevanti al fine di stabilire la volontà del soggetto; la rinunzia alle terapie è ammissibile anche quando va contro il parere medico – prevale cioè l’ autonomia – e tale rinuncia può riguardare anche alimentazione e idratazione artificiali.
In Germania, dopo una decisione del Bundesgerichthof – nella quale si è affermato che l’art. 1 della Grundgesetz sulla dignità umana impone il rispetto della volontà del paziente, e che l’autodeterminazione rileva anche per chi sia in stato di incapacità, specie ove abbia formulato una Patientenverfügung – il legislatore è intervenuto con una legge che ha modificato il codice civile (BGB): la Patientenverfügungsgesetz, in base alla quale le disposizioni – scritte – del paziente vanno rispettate; in ogni caso si deve ricostruire la sua volontà presunta, processo al quale partecipano medico, tutore, familiari, persone di fiducia, giudice tutelare; ciò vale per tutte le terapie.

 L’Italia: il caso «Englaro»

Nel nostro Paese, la scintilla che ha acceso le discussioni intorno alla rinunzia alle terapie, in caso di incapacità dell’interessato, è scoccata con il caso «Englaro» o, meglio, quando la vicenda giudiziaria ha cominciato a prendere una piega favorevole al ricorrente: fino a quel momento, infatti, l’attenzione dei media nei confronti della dramma della giovane Eluana e della sua famiglia era stata decisamente scarsa.
Eluana Englaro era una giovane donna, rimasta vittima di un incidente stradale; all’inizio della storia giudiziaria che l’ha riguardata, si trovava in SVP già da 7 anni.
Il padre della ragazza, nominato suo tutore, aveva chiesto la rimozione delle misure di mantenimento in vita, sostenendo che tale sarebbe stata la volontà della figlia, ove fosse stata in grado di esprimerla.
Dopo essere state respinte nelle prime fasi processuali, le tesi del ricorrente verranno infine accolte dalla Cassazione e dalla Corte d’Appello di Milano.
Secondo la Suprema Corte, il principio del consenso informato «esprime una scelta di valore nel modo di concepire il rapporto tra medico e paziente»; il paziente ha perciò il diritto di «rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale».
La salute è – prosegue la Corte – un bene disponibile da parte del soggetto capace, oppure da chi abbia «specificamente indicato, attraverso dichiarazioni di volontà anticipate, quali terapie egli avrebbe desiderato ricevere e quali invece avrebbe inteso rifiutare nel caso in cui fosse venuto a trovarsi in uno stato di incoscienza».

Gli istituti della tutela e dell’amministrazione di sostegno attribuiscono al rappresentante la cura dell’incapace: e ciò vale soprattutto con riguardo agli interessi non patrimoniali del soggetto.

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