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venerdì 11 luglio 2014

Rivelazione di segreto professionale - Rivelazione di segreto d'ufficio

L'infermiere è tenuto, nell'ambito della sua attività, a mantenere il riserbo sulle notizie apprese in virtù del rapporto con il paziente; tale dovere è previsto sia nel Codice Deontologico, il quale, all'art. 26 specifica espressamente che “l'infermiere assicura e tutela la riservatezza nel trattamento dei dati relativi all'assistito”, sia nel codice penale agli art. 622 (rivelazione del segreto professionale) e 326 (rivelazione del segreto d'ufficio).
La differenza tra i due reati è data dalla qualifica giuridica del sanitario al momento in cui commette il fatto illecito; la rivelazione del segreto professionale, infatti, riguarda il sanitario che svolge attività libero professionale mentre la rivelazione del segreto d'ufficio riguarda il sanitario pubblico dipendente.
L'art. 622 codice penale recita:”chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a 1 anno o con la multa”.
Il reato consiste nella rivelazione, senza giusta causa, di qualsiasi tipo di notizia personale anche non di tipo sanitario, che il paziente non è intenzionato a divulgare, ovvero nel suo impiego a proprio od altrui profitto. Perchè il reato si configuri è necessario che la divulgazione avvenga intenzionalmente, occorre cioè l'intenzione specifica di rivelare il segreto.
Le informazioni coperte dal segreto possono riguardare non solo i dati clinici del paziente, ma anche aspetti della vita intima appresi nell'ambiente domestico durante, ad esempio, prestazioni domiciliari.
La rivelazione della notizia può avvenire attraverso comunicazioni scritte, verbali, cenni, ed è sufficiente, perchè si configuri il reato, che la notizia venga divulgata anche ad una sola persona.
Non costituisce rivelazione del segreto professionale, ma semplice “trasmissione”, la divulgazione di notizie sullo stato di salute della persona ad altri operatori sanitari ai fini della prestazione assistenziale; tali soggetti sono chiaramente tenuti, a loro volta, al massimo riserbo su quanto riferito.
 La rivelazione del segreto professionale è legittima solo se sussiste una giusta causa. In alcune ipotesi, infatti, la divulgazione è espressione di un dovere stabilito dall'ordinamento giuridico (denunce sanitarie di malattie infettive, referto all'Autorità Giudiziaria, perizia e consulenza tecnica).
In tali casi, l'eventuale rifiuto del sanitario ad ottemperare l'obbligo giuridico di rivelazione, potrebbe esporlo, a sua volta, a sanzioni penali.
In tali ipotesi, comunque, il sanitario è tenuto a rispettare l'obbligo del riserbo su tutte
quelle notizie irrilevanti ai fini dell'espletamento dell'incarico e per le quali non sussiste l'obbligo di riferire all'Autorità Giudiziaria.
In altre circostanze, invece, sussiste la possibilità, ma non l'obbligo, per il sanitario di rivelare notizie coperte da segreto. Ad esempio l'art. 200 del codice di procedura penale prevede la facoltà, e non l'obbligo, per gli esercenti una professione sanitaria, di testimoniare su fatti appresi nello svolgimento della propria attività.
La rivelazione del segreto professionale e' un reato punibile a querela di parte e cioè perseguito su richiesta della persona offesa, a differenza, invece, del reato di
rivelazione ed utilizzo di segreto d'ufficio, previsto e disciplinato dall'art. 326 codice penale: “il pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che, violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete, o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”.
Tale reato e' perseguibile d'ufficio e prevede pene più severe in virtù della qualifica di pubblico ufficiale dell'autore del fatto.

La giurisprudenza ha ravvisato la configurazione di tale reato a carico di alcuni infermieri addetti alla camera mortuaria di un ospedale i quali, violando i doveri di riservatezza ed imparzialità alla cui osservanza erano tenuti, nella loro qualità di pubblici impiegati, avevano concordato con determinate imprese di onoranze funebri di dare a queste ultime, dietro corrispettivo in danaro, immediata notizia dei decessi (Cass. 30.7.1991 n 2266).

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