L'infermiere è tenuto,
nell'ambito della sua attività, a mantenere il riserbo sulle notizie apprese in
virtù del rapporto con il paziente; tale dovere è previsto sia nel Codice Deontologico,
il quale, all'art. 26 specifica espressamente che “l'infermiere assicura e
tutela la riservatezza nel trattamento dei dati relativi all'assistito”, sia
nel codice penale agli art. 622 (rivelazione del segreto professionale) e 326 (rivelazione
del segreto d'ufficio).
La differenza tra i due
reati è data dalla qualifica giuridica del sanitario al momento in cui commette
il fatto illecito; la rivelazione del segreto professionale, infatti, riguarda
il sanitario che svolge attività libero professionale mentre la rivelazione del
segreto d'ufficio riguarda il sanitario pubblico dipendente.
L'art. 622 codice penale
recita:”chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o
della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela senza giusta causa,
ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può
derivare nocumento, con la reclusione fino a 1 anno o con la multa”.
Il reato consiste nella
rivelazione, senza giusta causa, di qualsiasi tipo di notizia personale anche
non di tipo sanitario, che il paziente non è intenzionato a divulgare, ovvero
nel suo impiego a proprio od altrui profitto. Perchè il reato si configuri è necessario
che la divulgazione avvenga intenzionalmente, occorre cioè l'intenzione
specifica di rivelare il segreto.
Le informazioni coperte
dal segreto possono riguardare non solo i dati clinici del paziente, ma anche aspetti
della vita intima appresi nell'ambiente domestico durante, ad esempio,
prestazioni domiciliari.
La rivelazione della
notizia può avvenire attraverso comunicazioni scritte, verbali, cenni, ed è
sufficiente, perchè si configuri il reato, che la notizia venga divulgata anche
ad una sola persona.
Non costituisce
rivelazione del segreto professionale, ma semplice “trasmissione”, la
divulgazione di notizie sullo stato di salute della persona ad altri operatori
sanitari ai fini della prestazione assistenziale; tali soggetti sono
chiaramente tenuti, a loro volta, al massimo riserbo su quanto riferito.
La rivelazione del segreto professionale è
legittima solo se sussiste una giusta causa. In alcune ipotesi, infatti, la
divulgazione è espressione di un dovere stabilito dall'ordinamento giuridico (denunce
sanitarie di malattie infettive, referto all'Autorità Giudiziaria, perizia e
consulenza tecnica).
In tali casi, l'eventuale
rifiuto del sanitario ad ottemperare l'obbligo giuridico di rivelazione,
potrebbe esporlo, a sua volta, a sanzioni penali.
In tali ipotesi,
comunque, il sanitario è tenuto a rispettare l'obbligo del riserbo su tutte
quelle notizie
irrilevanti ai fini dell'espletamento dell'incarico e per le quali non sussiste
l'obbligo di riferire all'Autorità Giudiziaria.
In altre circostanze, invece,
sussiste la possibilità, ma non l'obbligo, per il sanitario di rivelare notizie
coperte da segreto. Ad esempio l'art. 200 del codice di procedura penale
prevede la facoltà, e non l'obbligo, per gli esercenti una professione
sanitaria, di testimoniare su fatti appresi nello svolgimento della propria
attività.
La rivelazione del segreto
professionale e' un reato punibile a querela di parte e cioè perseguito su
richiesta della persona offesa, a differenza, invece, del reato di
rivelazione ed utilizzo
di segreto d'ufficio, previsto e disciplinato dall'art. 326 codice penale: “il
pubblico ufficiale o la persona incaricata di un pubblico servizio, che,
violando i doveri inerenti alle funzioni o al servizio, o comunque abusando
della sua qualità, rivela notizie di ufficio, le quali debbano rimanere segrete,
o ne agevola in qualsiasi modo la conoscenza, e' punito con la reclusione da
sei mesi a tre anni”.
Tale reato e' perseguibile
d'ufficio e prevede pene più severe in virtù della qualifica di pubblico ufficiale
dell'autore del fatto.
La giurisprudenza ha
ravvisato la configurazione di tale reato a carico di alcuni infermieri addetti
alla camera mortuaria di un ospedale i quali, violando i doveri di riservatezza
ed imparzialità alla cui osservanza erano tenuti, nella loro qualità di
pubblici impiegati, avevano concordato con determinate imprese di onoranze
funebri di dare a queste ultime, dietro corrispettivo in danaro, immediata
notizia dei decessi (Cass. 30.7.1991 n 2266).
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